In seguito i ricercatori hanno ricostruito alberi genealogici evolutivi usando le sequenze del cromosoma Y e, uno dei primi risultati che hanno evidenziato, è che effettivamente 2500 anni fa c’è stata una diminuzione della popolazione e anche un improvviso aumento: una notevole livellazione del numero di cromosomi Y ancestrali. È però interessante notare che gli uomini giapponesi moderni sembrano avere una maggiore percentuale del DNA ancestrale degli Jomon nei loro cromosomi Y rispetto al resto dei loro genomi. Precedenti analisi genetiche avevano concluso che gli abitanti del Giappone avevano circa soltanto il 12% dei loro interi genomi provenienti dagli antenati Jomon, mentre il restante 88% derivava interamente dagli antenati Yayoi. Il team di ricerca di Ohashi invece ha calcolato che l’unico gruppo di sequenze degli Jomon che avevano identificato rappresentava il 35,4% dell’intero cromosoma Y, sottolineando che questa specifica sequenza sarebbe stata molto comune negli uomini di Jomon. Poiché è più facile che una sequenza diventi comune in una piccola popolazione, ciò indica che la dimensione del popolo degli Jomon è diminuita in modo drastico durante il periodo del tardo Jomon e prima dell’arrivo degli Yayoi. La genetica moderna quindi ha confermato un dubbio, e risolto un mistero, che attanagliava i pensieri degli archeologi giapponesi da anni: “Speriamo che questo metodo possa essere utile per confermare altre antiche dinamiche umane non completamente spiegate dall’archeologia” ha aggiunto Ohashi. Di Francesca Orelli LEGGI ANCHE:
Giappone: quando la genetica moderna si rivela fondamentale per risolvere un grande mistero archeologico (I parte)
I ricercatori dell’Università di Tokyo sono riusciti a condurre un censimento delle persone che vivevano in Giappone circa 2500 anni fa utilizzando i cromosomi Y degli uomini che vivono sulle isole del Giappone moderno. L’analisi dei genomi moderni, per la prima volta, è riuscita a determinare le dimensioni di un’antica popolazione umana prima che venisse raggiunta da un altro gruppo antico separato: “Le prove trovate nei siti archeologici sono state usate in passato per determinare la vastità di questa popolazione, ma la difficoltà e l’imprevedibilità nel trovare quei siti sono un grosso limite. Ora invece abbiamo un metodo che utilizza una grande quantità di dati moderni” ha dichiarato Jun Ohashi, esperto di genetica evolutiva umana e capo del gruppo di ricerca che ha eseguito l’analisi. L’attuale teoria sulle migrazioni umane in Giappone è che gli abitanti originari, i Jomon, abbiano incontrato circa 2500 anni fa una popolazione separata provenienti dalla penisola coreana, gli Yayoi. Durante quel periodo le temperature globali, insieme al livello del mare, diminuirono in maniera importante, mettendo in difficoltà il popolo cacciatore-raccoglitore degli Jomon. Quando il popolo Yayoi arrivò, portò l’agricoltura del riso in Giappone, fattore che avrebbe portato un approvvigionamento più stabile sia per i Jomon sopravvissuti sia per i “migranti” Yayoi. La minore quantità di siti Jomon però non ha portato conferme sull’effettivo declino della popolazione, pertanto il team del professor Ohashi ha deciso di scavare nel genoma umano per risolvere questo mistero. I ricercatori hanno quindi iniziato a confrontare le sequenze cromosomiche Y degli uomini giapponesi moderni con quelle degli uomini coreani e degli altri paesi dell’Asia Orientale. I cromosomi Y vengono trasmessi di padre in figlio, con pochissimi cambiamenti, nel corso delle generazioni, quindi le sequenze di cromosomi Y moderni possono dare indicazioni affidabili sui cromosomi Y degli uomini di migliaia di anni fa. I ricercatori hanno utilizzato campioni di DNA raccolti prima del 1990 da 345 uomini le cui famiglie provenivano dalle tre isole principali di Honshu, Shikoku e Kyushu. Il gruppo ha identificato una sequenza di DNA che solo gli uomini giapponesi avevano. Quella sequenza probabilmente proveniva dal popolo degli Jomon. In seguito i ricercatori hanno identificato altre sei sequenze molto comuni tra gli uomini giapponesi e gli altri uomini dell’Asia Orientale (coreano, vietnamita, cinese), che probabilmente provenivano dal popolo Yayoi. Di Francesca Orelli LEGGI ANCHE:
Arezzo: dopo Ipazia, il Museo Archeologico Nazionale porta in scena Aspasia
Dopo “Ipazia muore male”, andato in scena il 29 giugno 2019 nella cornice dello splendido Anfiteatro Romano di Arezzo, il 5 e il 6 luglio 2019, a partire dalle 21.30, il Museo Archeologico Nazionale di Arezzo proporrà “Aspasia. Lei guardava spesso il mare”, uno spettacolo teatrale dedicato ad Aspasia, moglie dello statista Pericle. La nuova rassegna teatrale estiva, voluta dal Polo Museale, dal Museo Archeologico Nazionale, dal Rotary Club Arezzo Est e dalla Compagnia Teatrale Archeosofica e Munus, e dedicata a due delle figure femminili più importanti dell’antichità, si chiude quindi in bellezza con la narrazione delle vicende, a tratti straordinarie, di quella che per vent’anni è stata la compagna e la consigliera fidata di uno dei protagonisti della guerra del Peloponneso. Le donne dell’antichità a teatro: chi erano Ipazia e Aspasia? Ipazia, nella comunità filosofica del mondo contemporaneo, è considerata ancora adesso una “martire della scienza”: matematica brillante, astronoma e seguace della filosofia neo platonica, in un’epoca in cui le donne che studiavano erano mal viste, assistette non solo alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente e alla distruzione dei templi di Alessandria, ma proprio perché pagana, durante il periodo della Quaresima del 415 d.C venne uccisa e fatta a pezzi in un modo barbaro da un gruppo di cristiani invasati ad Alessandria d’Egitto. La sua figura, a partire dal Secolo dei Lumi, cominciò non solo ad essere esaltata e innalzata contro il fanatismo religioso che, ancora a quei tempi, era molto presente negli animi dei francesi, ma anche ad essere celebrata in romanzi, opere teatrali e quadri. La storia di Aspasia di Mileto invece è diversa, ma non per questo meno affascinante: dapprima amante, poi compagna dello statista Pericle, rimase al suo fianco per vent’anni, ed era considerata già nell’antica Grecia, dove le donne erano spesso relegate alla casa e avevano pochi legami sociali, un’abile conversatrice e una consigliera fidata. Secondo quanto raccontato da Plutarco, sebbene la sua condotta fosse al di sopra delle righe (si dice che, prima di conoscere lo statista ateniese, gestisse un bordello o fosse addirittura una cortigiana di alto bordo), le mogli degli amici del filosofo Socrate si recavano spesso da lei per conversare. Amata da Pericle fino alla sua morte, venne difesa anche dallo statista in persona quando venne trascinata in giudizio con l’accusa di corrompere le donne di Atene. Di Francesca Orelli
Houston: più di 150’000 reperti sono stati scoperti nella downtown
Più di 150’00 reperti sono stati scoperti in un parco cittadino, situato nel centro di Houston (Texas). Secondo quanto rivelato da Danny Perez, l’addetto stampa del Dipartimento dei Trasporti, i manufatti coprono tutto il periodo storico che va dal 1830 al 1950 e appartengono all’ex quartiere di Frost Town, il primo quartiere fondato dalla classe operaia di Houston. I residenti di Frost Town furono i primi a lavorare nelle industrie sviluppatesi lungo il Buffalo Bayou, fornendo la manodopera necessaria che favorì la crescita commerciale e industriale di Houston. Oggi Houston, oltre ad essere una delle città più grandi degli Stati Uniti, capace di attrarre migliaia di persone provenienti da tutto il mondo con le sue opportunità economiche, può anche quindi fregiarsi di un’eredità importante e che ne testimonia lo sviluppo. Frost Town si trovava nell’area occupata oggi dal James Bute Park, pochi chilometri a sud dal Buffalo Bayou e a pochi isolati a nord del Minute Maid Park. I principali scavi, completati nel 2018, si sono concentrati sul viadotto di Elysian Street, mentre uno scavo più piccolo, completato all’inizio del 2019, si è focalizzato più su un’area adiacente la i-69. Le fondamenta delle case, venute alla luce, mostrano come si sia passati dai muri in mattoni del 1830 fino ai pilastri di cemento utilizzati negli anni Trenta e anche dopo. Sul posto sono state scoperte anche cisterne in legno e mattoni, tra cui una che riporta anche la firma del costruttore. Un altro aspetto interessante è stato rilevato in alcune bottiglie allineate, che sono state rinvenute rovesciate e sepolte per metà nel terreno: quando infatti non esistevano ancora i cancelli, questo sistema venivano utilizzato per delimitare le passerelle e i confini dei giardini. I reperti di Frost Town sono attualmente sono analisi, ma stando a quanto rivelato da Perez, potrebbero volerci almeno due anni di lavoro prima di avere il catalogo completo. Una volta concluso il lavoro di catalogazione, gli oltre 150’000 reperti saranno trasferiti in una struttura museale statale e, in seguito, il TxDot inizierà a contattare i musei (in particolare quelli situati nell’area di Houston) per organizzare mostre. Di Francesca Orelli
Il Giardino della Cultura diventa ufficialmente Testata Editoriale e Giornalistica!
Partendo dal bisogno di migliorarci, abbiamo iniziato a recintare il nostro giardino della cultura dove andremo a coltivare un’editoria libera da ogni legame con l’unico scopo di promuovere la cultura in ogni sua forma ed in ogni sua concezione. Raccogliamo semi di cultura di chi vuole condividerli con noi e ne curiamo la semina e la raccolta successiva. Comincia così l’avventura del Giardino della Cultura, un piccolo luogo virtuale dove coltivare la passione per tutto ciò che è culturale. Da quel giorno ne abbiamo fatti di passi, anche indietro, ma non abbiamo mai smesso di credere che questo posto potesse diventare qualcosa di grande. E così il momento è arrivato. Ci abbiamo lavorato tanto. Ogni giorno, con il freddo secco dell’inverno a intorpidirci le mani e con il caldo torrido dell’estate a farci sudare, letteralmente, sette camicie. Ognuno con il proprio laptop sulla scrivania o sulle gambe, ognuno con le proprie passioni e opinioni. In quella stanza virtuale che abbiamo chiamato Giardino della Cultura il brusio sommesso delle dita che battono sulle tastiere si mescola con le parole dette ad alta voce. Parole che diventano scambi, scambi che diventano nuove idee. E ora possiamo finalmente dire di avercela fatta. Ci siamo riusciti. Siamo diventati testata editoriale e giornalistica, registrata al Tribunale! Questo ci dà quel tocco in più e una spinta a fare sempre del nostro meglio. Ma che cosa cambia? Il Giardino della Cultura e Delizie del Gusto si fondono e diventano una cosa sola Il Giardino della Cultura non sarà più un semplice ma una vera e propria testata giornalistica. Ciò significa che seguirà una calendarizzazione dei contenuti che saranno sempre più selezionati per dare vita a un qualcosa di nuovo con la stessa passione del vecchio. Con oggi inizia quindi un nuovo percorso che porta Giardino della Cultura e Delizie del Gusto a fondersi per contenuti sempre freschi e sfiziosi. Cultura in tutte le sue forme, quindi. Ci saranno categorie dedicate allo studio e agli approfondimenti e una parte del sito dedicata al nostro brand e all’e-commerce, dove potrete trovare marmellate, confetture e composte da leccarvi i baffi. E se vi siete persi qualche articolo, non preoccupatevi. I pezzi del vecchio Giardino verranno ripostati nei prossimi giorni! Noi vi ringraziamo per la fiducia e possiamo garantirvi che porteremo avanti le nostre idee. Insieme. Perché il nostro Giardino ora è un po’ anche il vostro. Editore: Alessandro Balzano Il Direttore Danilo Ruberto Direttore Tecnico: Stefania Calabrese Collaboratori: Corrado, Francesca e Silvia.